E vabe
saremo ignoranti noi. Se giocatori, tecnici, eminenti opinionisti, staff
societario e colleghi di ogni latitudine, spendono parole e inchiostro per
elogiare il lavoro svolto da Luis Enrique alla Roma, chiedendone la riconferma,
noi detrattori dobbiamo cominciare a pensare di esserci sbagliati. Certo
restano dei dati drammatici. C’è un eliminazione al primo turno dall’Europa
League, un settimo-ottavo posto in classifica che ci costa l’Europa dopo
quindici anni, una brutta figura in Coppa Italia contro la Juve, due derby
persi, disfatte con Juventus, Atalanta, Fiorentina, Lecce, Siena, Cagliari e
Genoa, 14 sconfitte in campionato, , 52 gol subiti e solo 57 fatti.
Senza dimenticare il gioco. Se molti dicono di aver visto sprazzi di Roma spettacolo, a sbagliare siamo senz’altro noi, a cui questa squadra non piace, anzi fa schifo. Forse non ci capiamo niente di calcio, ma di basi, di fondamenti per realizzare qualcosa di grande non ne vediamo nemmeno l’ombra. Quando Sabatini dice che “quanto costruito da Luis Enrique non va sprecato”, a prescindere da quale sarà l’allenatore, una domanda s’insinua tra i pensieri. “Cosa ha costruito?”. Ma forse siamo in incapaci a fare il nostro mestiere e allora, mestamente, tacciamo. Ci cospargiamo il capo di cenere e col fiato sospeso aspettiamo che il vate Enrique sciolga le riserve e decida se onorarci ancora della sua presenza. Anzi chiediamo perdono se abbiamo reso difficile il suo anno, se, per caso e senza potercelo permettere, ci siamo illusi che questo progetto potesse rappresentare la svolta. Se abbiamo chiesto di vincere, facciamo ammenda.
Ci permettiamo una sola, piccola, annotazione. Se Luis Enrique è davvero il fenomeno di cui parlano Baldini, Sabatini, i calciatori e buona parte della stampa romana, allora merita la riconferma. Ma attenzione. Se i risultati non verranno, il gioco nemmeno, proseguiranno le umiliazioni e alla fine della stagione si dovrà, questa volta con un ‘altro tecnico, ripartire da zero, non ci limiteremo a chieder la testa dell’hombre vertical, del cui fallimento vi sarete, a quel punto, resi complici e correi. Stavolta la colpa sarà solo vostra. E saranno cazzi amari.
Senza dimenticare il gioco. Se molti dicono di aver visto sprazzi di Roma spettacolo, a sbagliare siamo senz’altro noi, a cui questa squadra non piace, anzi fa schifo. Forse non ci capiamo niente di calcio, ma di basi, di fondamenti per realizzare qualcosa di grande non ne vediamo nemmeno l’ombra. Quando Sabatini dice che “quanto costruito da Luis Enrique non va sprecato”, a prescindere da quale sarà l’allenatore, una domanda s’insinua tra i pensieri. “Cosa ha costruito?”. Ma forse siamo in incapaci a fare il nostro mestiere e allora, mestamente, tacciamo. Ci cospargiamo il capo di cenere e col fiato sospeso aspettiamo che il vate Enrique sciolga le riserve e decida se onorarci ancora della sua presenza. Anzi chiediamo perdono se abbiamo reso difficile il suo anno, se, per caso e senza potercelo permettere, ci siamo illusi che questo progetto potesse rappresentare la svolta. Se abbiamo chiesto di vincere, facciamo ammenda.
Ci permettiamo una sola, piccola, annotazione. Se Luis Enrique è davvero il fenomeno di cui parlano Baldini, Sabatini, i calciatori e buona parte della stampa romana, allora merita la riconferma. Ma attenzione. Se i risultati non verranno, il gioco nemmeno, proseguiranno le umiliazioni e alla fine della stagione si dovrà, questa volta con un ‘altro tecnico, ripartire da zero, non ci limiteremo a chieder la testa dell’hombre vertical, del cui fallimento vi sarete, a quel punto, resi complici e correi. Stavolta la colpa sarà solo vostra. E saranno cazzi amari.
