sabato 14 luglio 2012

A ROMA DI ATAC SI PUO’ MORIRE


ASPETTA E SPERA CHE PRIMA O POI IL BUS PASSA..
di Luca La Mantia

“Nun dovete chiamà i call center. Dovete pijà a tortorate l’assessori”. Parola di autista Atac. La storia non è una notizia, ma un esempio di vita vissuta nella periferia di Roma. Accade che in una calda mattinata di Luglio, un bus della linea 69 (direzione Piazzale Clodio)ci metta un’ora e un quarto a passare per la fermata Prati Fiscali-Salaria. Sotto la pensilina, piazzata a un passo dal curvone di immissione alla Salaria, ci sono una coppia di ragazzi, due stranieri ed un signora di 75 anni che si è appena fatta “55 minuti di pullman da Osteria Nuova” e si sente male per il clima bollente. Una situazione paradossale, quasi da anni ’80, quando Roma d’estate diventava un deserto e restarci era quasi rischioso. 

Oggi non dovrebbe essere così. Ma come al solito c’è una città ideale ed un reale. E la realtà è che da un paio di mesi i romani pagano il biglietto del bus 1,50 euro. Perché in Italia i dissesti della pubblica amministrazione non si risolvono cacciando i dipendenti inetti, promuovendo il merito e garantendo il rispetto delle regole, ma aumentando il costo dei servizi, meglio dei disservizi. Così a Roma il bus costa quanto a Milano, dove i mezzi passano di media ogni cinque minuti ed il call center dell’Atm (l’azienda dei trasporti milanesi) sa informarti su ritardi e tempi di percorrenza. E nemmeno il sollievo di vedere che finalmente anche l’Atac si è dotata di un applicazione per smartphone riesce a regalarti un sorriso. Perché Romabus (così si chiama) è più umorale di un adolescente. Un giorno funziona, l’altro no. Dovrebbe dirti quanto manca all’arrivo della prossima vettura. Ma, sarà il clima feriale, anche lei sembra essersene andata al mare e appena ti connetti per avere notizie sulla tua linea ti dice “Non è stato possibile avere informazioni sulla linea indicata”. 

E il tempo passa. Una, due, tre, quattro sigarette e da quel curvone nessuna buona notizia. La coppia comincia a protestare, gli stranieri si chiedono se davvero questa è stata la culla dell’umanità, la signora si preoccupa per la sua salute e rievoca ricordi in camicia nera, quando “La notte si dormiva con la porta aperta e i bus erano puntuali”. Che fare? Un ragazzo chiama il call center del Comune e si fa passare l’Atac. Dall’altra parte risponde un pischello, probabilmente sottopagato, col quale finisci con l’incazzarti perché non sa nemmeno lui quando passerà questo dannato 69 e non può “assolutamente contattare il capolinea”. Una ragazza chiama il 113, che la invita a presentare denuncia. E’ la classica frase che ti scoraggia. Se pensi ci sia un Pm che apra un’inchiesta sul ritardo del 69 per “Interruzione di pubblico servizio” stai fresco. 

Poi, come un miraggio, compare la sagoma del 69. Sono le 12.45. Il “mortacci tua” con tanto di gesto è corale. La signora, stanca ma salva, si scaglia contro l’autista. L’uomo risponde “che dovevamo fa, c’abbiamo 4 vetture rotte e questa la sto portando a 40 all’ora perché c’ha er radiatore in ebollizione” e poi l’invito a prendere a tortorate gli assessori. Che nel caso specifico non sono tanti, ma è uno solo: Antonello Aurigemma. Ma che condivide un’atavica incapacità con tutti i suoi predecessori di ogni colore. Perché a Roma il problema è vecchio come il cucco. Vecchio come la mala gestione delle aziende municipalizzate, cui la politica si è attaccata come un vampiro, succhiando tutto il succhiabile. Lasciando casse vuote e mezzi che in inverno non hanno catene e d’estate fondono. 

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